La sottile lama di luce che entrava dalla serranda difettosa della camera di Bernardo andava ad infrangersi sulla vecchia coperta color arancio, che ogni sera prima di coricarsi, appoggiava disordinatamente sul letto.
Un piccolo fuoco. Fatto di pura luce e di una mistura di lana e acrilico.
Granelli di polvere, e di chissà quale altra porcheria, danzavano all’interno del fascio disegnando geometrie monotone e ordinate.
Il resto della stanza era immerso nella semioscurità e l’odore di chiuso contribuiva a darle un aspetto da cella monasteriale, il rumore del traffico, comunque, riportava l’ambiente ad una normale camera da letto di un normale appartamento di una normale periferia cittadina.
DRIN DRIN DRIN DRIN (non saprei scrivere meglio la suoneria di una sveglia elettronica, forse sarebbe meglio TI TI TI TI TI TI).
7:00. Aveva impostato volontariamente la sveglia a quell’infame orario, pur sapendo che quel giorno non sarebbe andato a lavorare. Quel suono pungente e regolare prima fece capolino nel suo sogno, poi riuscì, con chissà quale anatema, a svegliarlo.
Movimenti meccanici. Togliere il braccio da sotto la coperta arancione, sollevarlo, cercare a tastoni la sveglia, ora il lavoro del braccio e della mano era terminato, toccava alle dita, individuare il tastino per spegnere quell’inferno cacofonico, intercettato, pigiato. Di nuovo il silenzio, di nuovo il sonno.
DRIN DRIN DRIN DRIN.
7:06. E’ già, era una di quelle sveglie che ricominciano a suonare dopo pochi minuti, fino a che non si agisce sulla levetta posteriore.
Stessi identici movimenti meccanici. Di nuovo il silenzio, di nuovo il sonno.
DRIN DRIN DRIN DRIN.
7:12. Movimenti meccanici più complessi, in quanto le dita questa volta avrebbero dovuto trovare ed azionare la levetta posteriore. TIC. Suoneria disabilitata. La giornata iniziava veramente. Soffitto, mobilio, televisione, porta… ogni mattina stavano sempre li immobili a gustarsi la buffa scena del suo risveglio.
Occhi pesanti, alito pestilenziale, e le tre pinte della sera precedente che continuavano a spumeggiare allegramente nel suo cranio, quasi fossero ancora nel boccale.
Erano anni ormai che non si alzava dal letto senza fatica, rimaneva li immobile ad aspettare che una forza esterna attivasse il suo corpo.
In piedi. Le pantofole ovviamente durante la notte si erano divertite a nascondersi sotto il letto, e lui per niente al mondo si sarebbe inchinato a cercarle, con il rischio che tutta la birra contenuta nella sua testa fuoriuscisse da qualche orifizio facciale ed andasse a bagnare la sua coperta arancione.
Bagno. CLICK. Una mandata. Anche se era solo in casa, l’abitudine di barricarsi al bagno non l’aveva persa. Routine corporali. Routine igieniche. Le scarpe sotto il termosifone erano diventate troppe, forse erano loro che la notte spaventavano le pantofole e le facevano rifugiare sotto il letto, avrebbe dovuto riporle nella scarpiera, ma non ne aveva la minima voglia.
Aperta la finestra. La serranda fece qualche capriccio, ma poi cedette e si andò ad arrotolare nella sua tana nell’intercapedine.
Bella giornata, neanche una nuvola, era contento, era anche triste perché le belle giornate primaverili erano cariche di ricordi che non riusciva a rimuovere.
La gente di sotto passeggiava e si recava ovunque, era quasi impossibile pensare che ogni negozio, cabina telefonica, scala o palazzo avesse un ruolo, che ci fossero persone interessate ad essi, era una cosa gratificante e a volte aveva provato una profonda invidia per quei siti così ambiti.
Il “Bar d’angolo”. Lui si che piaceva. Era il “sex-symbol” del quartiere, tutti andavano al bar, parlavano al bar, compravano al bar, ridevano al bar. La sua insegna era orribile; con la scritta “Bar d’angolo” arancione e bianca, con grosso contributo cromatico dato da polvere, smog e ragnatele.
Bernardo stava pensando a come vestirsi, era una di quelle belle giornate primaverili in cui non si sa mai cosa indossare, non voleva trovarsi nella situazione di avere caldo o in quella contraria.
I soliti jeans…, con la maglietta rossa e il giubbotto di pelle nera, ormai considerava questi indumenti come parte integrante del suo fisico, e riteneva che rispecchiassero fedelmente la sua personalità.
Camera da letto, corridoio e finalmente la porta di casa, rovinata e graffiata, evidentemente i precedenti inquilini erano un esercito di orchi delle lande desolate.
Appena aperta la porta l’odore delle scale del palazzo… era un odore di pulito e polvere degli zerbini che si depositava sulla gola e ne faceva propria dimora. L’ascensore neanche a dirlo era occupato, ma per fare tre piani e per lo più in discesa non era indispensabile.
E finalmente fuori dalla sua tana. Lo stradone in cui abitava era pieno di macchine ferme causa il solito ingorgo, la gente, frenetica, andava in ogni direzione impegnata nella propria sopravvivenza. Lui no. Quel giorno lui non faceva parte di quella routine, era un alieno, nulla di quello strano posto gli apparteneva e avrebbe potuto interferire con la sua giornata.
Davanti al portone della sua casa Bernardo era fermo a guardare le macchine in fila, la gente che andava ovunque, i negozi che mangiavano e risputavano persone, i palazzi immobili che pazienti osservavano tutte le creature a loro microscopiche, che formicolavano ai loro piedi…
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