martedì 23 aprile 2013

Capitolo 7 – Il prato


Una sensazione di paura e agonismo, questo provava Bernardo appena girato l’angolo, come un pugile che percorre il tunnel che va dagli spogliatoi al ring, l’alimentari Cordiali era sempre li, da bambino la mattina prima di andare a scuola, ci passava con sua sorella, lui prendeva un pezzo di pizza bianca, lei un pezzo di pizza rossa, sempre così per mesi, lui bianca, lei rossa. 

Il prato alla fine della strada, lo aspettava, aveva capito che era allenato e pronto a batterlo.

E poi in questa via c’era la chiesa, non l’aveva mai vissuta, spesso ci andava con il nonno e il papà se dovevano fare fotografie a qualche comunione, cresima o matrimonio, lui era sempre con loro, col suo completo elegante, con il flash in una mano e la fotocellula nell’altra, lui era “Il bambino fotocellula”, gli piaceva quel ruolo, si sentiva osservato e importante, anche se si stancava molto perchè non poteva mai sedersi, ma voleva sempre andare, lo trovava divertente.

Ci sono sempre state molte auto parcheggiate nel cortile della chiesa, affittavano il posto macchina in cambio di qualche favore, una regola oscura che è sempre stata presente nel quartiere.

- Non è possibile! - pensò Bernardo, non era possibile che in quel punto della strada era sempre presente, persistente, il profumo di frittata, erano più di trent’anni che c’era quel profumo, non era possibile, quel profumo che da bimbo detestava ma che lo faceva sentire a casa, abitava a due passi da quel profumo e ogni volta che ci passava vicino non poteva non pensare al suo amico d’infanzia, il suo vicino di casa Cesare.

Cesare aveva un anno più di Bernardo, erano sempre insieme, giocavano insieme in casa, si vedevano al prato, anche le famiglie erano amiche e spesso facevano scampagnate, era forte Cesare, si trovava molto bene con lui, rideva sempre, aveva un difetto di pronuncia che divertiva tantissimo Bernardo. Poi quella mattina, quella strana e grigia sensazione, era evidente che fosse successo qualcosa, qualcosa di veramente spaventoso. “Cesare è in Cielo” gli dissero improvvisamente, lo spiazzarano, non era assolutamente pronto, non scorderà mai Bernardo la lacrima che scendeva sulla sua guancia, il falò che fece con il papà in onore dell’amico sulla collina vicino casa, e non smise mai di associare Yesterday dei Beatles al suo grande amico che l’aveva lasciato troppo presto.

Ed eccolo li, di fronte a lui, di fronte all’alto palazzo di sette piani, quel piccolo parco collinare, con un bosco in cima, un bosco vietato, dove i bambini non andavano perchè pieno di siringhe, quello era il prato anzi Il Prato. Il Boss, l’avversario che non conosceva sconfitta. 

Erano più di dieci anni che Bernardo non osava entrare nel prato, lo faceva star molto male, era pieno di ricordi, ricordi belli, bellissimi che paradossalmente lo facevano stare male, malissimo.

Gli anziani del campo di bocce non potevano capire l’enorme sfida che stava affrontando Bernardo, loro erano impegnati a piazzare la boccia vicino al boccino, erano impegnati a fumare, a bestemmiare, a parlare delle loro misere vite a lamentarsi delle loro mogli.

Entrò nel prato Bernardo, vide la gente, gli alberi  e le panchine, avevano pulito e ristrutturato piuttosto bene, avevano anche costruito un recinto con dentro dei giochi per bimbi, le nuove mamme erano fuori e parlavano tra loro, tutte insieme, tranne la mamma bella che era sola, guardata a vista e con invidia dalle altre.

E appena entrò, Bernardo capì che doveva fare assolutamente una cosa, da bimbo giocava sempre a biglie, anzi tra loro il gioco lo chiamavano “palline”, e per giocare facevano delle buchette nel terreno che dovevano centrare con le blglie per poi colpire le biglie dell’avversario e vincerle, c’erano molte buchette nel prato, ma Bernardo giocava sempre alla stessa, giocava in società col suo amico Emanuele, Emanuela era molto bravo, Bernardo un po’ meno, ma alla fine della giornata erano sempre di più le biglie che vincevano di quelle che perdevano. Quella buchetta doveva ancora esserci, ricordava precisamente il punto perchè vicina ad un albero di mimosa, si mise a rovistare nel terreno secco, tra erba, radici e foglie secche, e infine la trovò, era lei, non era più profonda come un tempo, ma aveva la stessa piccola radice vicina, era lei, era incredibile, quella buchetta scavata da lui più di trenta anni fa era ancora li, si emozionò, non gli sembrò vero, adorava quel gioco e quella buchetta era li, magari ci fosse stato Emanuele col suo sacchetto pieno di biglie, ma era solo, non c’erano altri giocatori, e pensò: “I bimbi non giocano più con le biglie”, peccato, era un gioco bellissimo.. C’era un sassolino rotondo vicino la buchetta, Bernardo si allontano di qualche passo, prese la mira e piazzò il sassolino al centro della buca. Quel gioco era sempre li, con lui, la buca era sempre li con lui, quel luogo legato al passato era sempre li, ed ora era il presente, il passato e il presente che si riunivano dopo molti anni, e fu bello, i ricordi erano belli, e non erano ancorati, fluttuavano liberi nella sua testa, erano piacevoli, vedeva quelle decine di bambini assembrati intorno alle varie buchette, erano felici, c’erano tutto i suoi amici, c’era la sorella che con i ragazzi più grandi era sulla panchina a chiacchierare, sembrava che non si interessasse a lui, ma il suo sguardo vigile era sempre su Bernardo, c’era Fabrizio, Daniele Marco, Andrea, Mauro, Emanuele, Vincenzo, Fabio, Corrado, c’era anche Cesare, c’era Gigi, c’era Alfonso, Manuela, Barbara e Vittorio, c’erano tutti, erano tutti felici, continuava a guardarli estasiato, era felice Bernardo, tutta la sua vita passata era li, tutta la sua felicità era li, era un meraviglioso sogno ad occhi aperti, stava bene al prato, stava bene come non stava da molti, troppi anni. 

Affrontare il prato non fu poi così difficile, il pensiero di affrontarlo invece sì, e questo pensiero aveva tenuto Bernardo lontano dalla sua felicità per troppi anni.

“Allora sei passato, ma che fai guardi il vuoto?” - Alfonso e Gigi erano li, come gli aveva promesso Alfonso quella mattinata.
“Sì ragazzi sono passato, mi ricordavo dei tempi andati, di quando eravamo bimbi, è stato bello”.
“Sei sorridente Bernardo” disse Gigi “erano anni che non ti vedevo così, da bambino eri sempre il più allegro di tutti”.
“Ho passato un brutto periodo Gigi, ma ora sto bene, sto molto bene. Mi ha fatto piacere vedervi ma ho una commissione da fare, ci si vede presto. Ci si vede al Prato”.
“Sei sempre stato bugiardo Bernardo” disse Alfonso “ci vediamo presto” gli disse strizzandogli l’occhio.

Non aveva nessuna commissione da fare Bernardo, ma la sua giornata era terminata, non voleva altre emozioni ed era contento del risultato ottenuto, tornò verso casa, il “Bar d’Angolo” era sempre colmo di gente, salutò con un cenno della testa un conoscente e rientrò nel portone del proprio palazzo.

giovedì 18 aprile 2013

Capitolo 6 – Il gradino basso e Disco World


- Ciao papà, ti va di fare una partita con me?

Bernardo adorava il suo Intellivision, glielo aveva regalato il papà qualche mese prima, glielo aveva fatto trovare acceso nel salone mansardato con inserito il gioco Astrosmash, non poteva credere ai suoi occhi, era bellissimo e collegato al loro televisore Grundig.

- No  Bernardo, devo dirti una cosa...

Pensava di impazzire, pensava di non poter vivere senza lei, si sedette sul gradino basso del terrazzo di casa della nonna, rimase li a piangere per molto tempo, voleva rimanere solo, voleva solo riuscire a non pensare, non pensare e continuare a guardare quei palazzi amici, cercava conforto in loro, le lacrime gli appannavano la vista, gli facevano bruciare gli occhi, sgorgavano senza sosta, i palazzi lo guardavano, cercavano di sorridergli ma serviva a poco, rimase li fino al tramonto fino a quando si calmò un po’, rientrò e il crepuscolo estivo lo fece star ancora peggio.

La strada continuava a salire, Bernardo superò il negozio di caccia e pesca dove spesso si fermava a guardare canne in carbonio, mulinelli veloci, galleggianti multicolori, da bimbo rimaneva spesso incollato a quella vetrina bramando quegli oggetti immaginandoli propri. Continuò la salita, aveva deciso di arrivare al negozio di chitarre, era sempre stato molto caro, non aveva mai comprato quasi nulla da loro, solo qualche plettro, qualche muta di corde, una volta ebbe una discussione su una chitarra con la titolare straniera, non gli piacevano i suoi modi, non ci sapeva fare, la trovò offensiva e non volle più avere nulla a che fare con lei.

Non c’era altro in quel lato della strada che gli potesse interessare, decise di attraversare e affrontare il lato opposto in discesa, si trovò davanti al negozio dove anni prima aveva casualmente ritrovato il suo amico Marco, all’epoca era un negozio di videogiochi, i due vecchi amici si rincontrarono casualmente si abbracciarono, chiacchierarono e riuscirono a ricollegare le loro vecchie amicizie.

Non era però quello il negozio che gli intessava, il suo obbiettivo era Disco World, l’enorme negozio di dischi e musica che negli anni passati fu un punto di riferimento per tutti gli appassionati del quartiere e della città.

Bernardo commise un altro grave errore, si ritrovò bambino a girare per il negozio:

- Ciao Fabio, ho scoperto un gruppo che mi piace tantissimo, non so se è famoso però, non so se avete i loro dischi, si chiamano King, Queen, Veem... non ricordo, puoi aiutarmi? Inoltre dopo passo da Pelino, voglio vedere se ha nuove cassette per il Commodore.

Disco World era un punto di ritrovo della sua infanzia e adolescenza, ci andava da solo, con i nonni, con gli amici, si fermava davanti agli spartiti dei suoi gruppi preferiti cercando di imparare a memoria quei riff che amava e che pensava insuonabili, uno di questi riff gli ricordava una ragazzina della quale era innamorato, spesso passava davanti casa sua  solo per riuscire a scorgerla, e mentre era li ad aspettare di vederla, con  walkman e ascoltava a tutto volume le canzoni rock che amava, si rinchiudeva in quella corazza di volume altissimo, che non gli permetteva di sentire altro che la sua musica, e quando la vedeva si immaginava di suonare per lei, si proiettava su un palco imbracciando la chitarra, mentre lei lo guardava estasiata da lui e dalla sua musica.

Era cambiato Disco World, era cambiata la merce che vendeva, Fabio era sempre li, con lo sguardo meno orgoglioso degli anni d’oro, ma era sempre li a mandar avanti la baracca, a cercare mercati diversi da quelli della musica che ormai, con l’avvento digitale, stava perdendo colpi, il grande negozio ora si limitava a vendere libri, giocattoli, strumenti musicali economici, la sezione musica si era notevolmente ridimensionata, non c’era più quel fascino, non c’erano più quelle meravigliose scaffalature piene di vinili, audiocassette, CD, VHS... No, non c’era più quella passione negli occhi dei clienti, era diventato un supermercato dove si compravano regali per gli altri, si compravano giocattoli per i bimbi, ma Fabio era li, con il cuore spezzato e i nostri sguardi complici che nostalgici si incrociavano, si annuivano e si salutavano.

Forse fu proprio questo quello che cercava. Forse fu propio questa la svolta che ebbe la sua giornata. Che Bernardo avesse trovato la chiave per disaccoppiarsi dal suo passato? Eppure quei profumi, quella strada, gli ricordavano così intensamente gli anni che furono, quale fu la chiave di svolta? Cosa fece scattare in Bernardo la curiosità del futuro, la voglia di vivere il proprio passato come una ricca enciclopedia con l’aiuto della quale riuscire a costruire un’eventuale felicità basata sul presente? Non seppe rispondersi, molti dei fattori che avevano creato in lui grossi problemi nostalgici, grossi problemi di ansia purtroppo non c’erano più, purtroppo...
Ma questo era il trampolino che doveva sfruttare, questo improvviso senso di rinascita che lo aveva avvolto appena uscito da Disco World, quell’odore di Primavera che tanto amava, un odore però leggermente differente dal solito, c’era un’essenza nuova, un’essenza fresca e dolce che non aveva mai avuto il piacere di assaporare, ed era felice, si piaceva Bernardo, si piaceva molto, ma odiava la sua mente, la sua mente che rimaneva ancorata a troppi fattori, un ancora incagliata sotto tonnellate e tonnellate di scogli inamovibili.

La discesa, la discesa fu quindi diversa dalla salita, Bernardo non si soffermava sui negozi, cartelloni, portoni e palazzi legati al passato, li viveva come presente, non era attratto dalle vecchie mura, ma dai nuovi cartelli, le nuove riviste, le nuove vetrine, il nuovo che aveva sempre tenuto severamente lontano dalla sua vita, il nuovo che da anni non suscitava in lui alcun tipo di interesse.

Pensò alla ragazza che aveva conosciuto da poco, pensò a come l’aveva inaspettatamente colpito, pensò al suo rassicurante sorriso ed ebbe voglia di vederla, il suo viso rotondo, i suoi occhi chiari, la leggerezza e l’allegria con la quale affrontava la vita, quell’allegria che lui non aveva mai avuto tra le proprie armi.

Non aveva più paura di nulla Bernardo, non aveva più paura di incontrare nessuno, era tornato ad essere quella roccia che era un tempo, aveva riguadagnato la speranza e la curiosità, aveva voglia di ricominciare subito, voleva recuperare il tempo perduto, ma prima aveva l’ultimo ostacolo da affrontare, il Prato era sempre li ad aspettarlo, il Prato che saggiamente negli ultimi anni aveva evitato, il Prato visto come il campione mondiale dei pesi massimi, il Prato con il quale non avrebbe mai potuto vincere, fino a quel giorno...

mercoledì 17 aprile 2013

Capitolo 5 – 31 dicembre 1999


31 dicembre 1999. Due bicchieri colmi di limoncello appoggiati su un vecchio scanner Agfa, stanza di Marco piena di ricordi di infanzia, adolescenza e giovinezza. Due amici di sempre che si preparano ad affrontare il nuovo millennio ascoltando le canzoni che più hanno amato, bevendo, ballando e cantando. La stanza e la casa di Marco, erano paradossalmente gli unici ambienti domestici che lo riportavano alla sua infanzia, tutte le altre case che aveva abitato nel passato non le frequentava più, un po' per i suoi innumerevoli traslochi un po' perchè preferiva non frequentare alcune persone.

Lo stereo di Marco suonava The Unforgiven dal fantastico Black Album dei Metallica, e i due amici, felici, cercavano di ricordarsi tutte le canzoni più belle che appartenevano al millennio che stava per concludersi. Ascoltarono Metallica, Led Zeppelin, Def Leppard, Queen, Radiohead e tutti gli autori di quel filone rock che amavano e che avrebbero amato per sempre. Erano felici quel giorno i due amici, avevano voglia di ridere, cantavano e ballavano, in compagnia di quella bottiglia di limoncello e di quelle canzoni, pronti ad affrontare la bolgia del capodanno cittadino.

- E la fine del mondo? A che ora ci sarà? - Chiese Bernardo al suo amico.
- Pensi ci sarà? - Rispose Marco.
- Io penso di sì, io sono pronto per affrontarla, e sono curioso... molto curioso.

Fu una grande delusione per Bernardo, la fine del mondo tanto attesa non era arrivata, tutto era come prima, neanche il tanto temuto millenium bug aveva causato le tanto decantate catastrofi informatiche, quindi tutto si prospettava come prima, e Bernardo si trovò spiazzato da tutta quella normalità, non più pronto alla vita di tutti i giorni, lui si immaginava il 2000 in uno scenario post atomico, e invece l'unico fall out che si trovò ad affrontare fu un fall out di luoghi comuni, abitudini e noia.

E dalla grossa delusione dell'anno 2000 Bernardo si trovava da anni a vivere o meglio "sopravvivere" in un mondo che non considerava più suo, da quella data la sua vita fu saldamente ancorata al passato, e ogni anno che correva velocemente, era come se lo osservasse da un vetro sporco, come se la propria vita la vedesse vissuta da un altro, dall'esterno.

A 12 anni Bernardo visse un'esperienza che riusciva a paragonare al suo senso di non appartenenza alla propria vita; la cava di ghiaia abbandonato aveva formato un laghetto in cui si recava a pescare quasi tutti i giorni con un paio di amici, erano giovani pescatori appassionati, leggevano riviste specializzate e cercavano di mettere in pratica tutti gli insegnamenti della carta stampata in quel loro piccolo paradiso, tra persici sole, carassi e qualche carpa. E una giornata di queste fu molto fortunata, presero 13 carassi molto grossi, Bernardo ne prese cinque, Alberto otto, ma non sapevano cosa farci di quel pesce immangiabile ancora vivo e quindi venne loro un'idea, scavarono una grossa buca nel giardino dissestato di Alberto che viveva in una casa prefabbricata, la foderarono con un grosso foglio di cellophane che tennero fermo con dei mattoni di tufo posizinati lungo la circonferenza del laghetto da loro scavato. Poi, dopo aver riempito d'acqua la buca, misero i 13 pesci tutti ancora vivi e rimasero circa un'ora a vederli sguazzare nella loro nuova casa, la buca era sufficientemente larga e profonda da garantire una discreta mobilità ai carassi.  Bernardo si era particolarmente affezionato ad un pesce, un carassio bianco con chiazze arancioni/rosse, lo aveva chiamato Piero, e gli piaceva pensare che fosse il capo, non era il più grosso ma era quello che sapeva muoversi con più disinvoltura, si identificò subito con Piero, e si chiedeva cosa pensava il pesce di quei due strani individui che lo guardavano da fuori l'acqua, si chiedeva se pensava fossero i suoi carcerieri, i suoi salvatori oppure semplicemente due bambini abili nella pesca da ammirare come si ammira un nemico competente e leale. Bernardo guardava il pesce ed era come se guardasse se stesso nel piccolo stagno, pensava di telecomandarlo mentalmente, lo faceva girare a destra, gli faceva aprire la bocca, lo faceva comunicare con gli altri, gli faceva impartire ordini agli altri pesci, lo faceva controllare che tutto fosse in ordine.
Il mattino seguente Alberto telefonò a Bernardo per dirgli che tutti i pesci erano morti, evidentemente per un'insufficiente ossigenazione dell'acqua... li aveva trovati tutti a galla, tutti tranne Piero, Piero non c'era più. Bernardo si sentì male, aveva ucciso tutti quei pesci per uno stupido gioco e si pentì subito di non averli rigettati in acqua appena pescati. Ma Piero che fine aveva fatto? Bernardo era convinto che era in qualche modo riuscito a salvarsi, era riuscito a tornare nel laghetto della cava, era un'idea stupida, molto stupida, ma per star meglio gli piaceva pensare così. 
Tornò a immedesimarsi in Piero, in come era riuscito a salvarsi, in come aveva fatto a tornare nel laghetto, in quello che pensava dei suoi carcerieri, in come avrebbe giustificato la sua assenza alla propria famiglia, in cosa avrebbe raccontato ai suoi amici sulla crudeltà dei bambini.
E tutte le volte che ritornava al lago Bernardo sognava di ripescare Piero, per potergli chiedere scusa, facendosi perdonare con una scatola di vermi tutta per lui.
Bernardo non ripescò più Piero, ma mise in acqua tutti i pesci che riuscì a catturare, slamandoli con precisione chiurgica per non farli soffrire.

Bernardo e Marco, il sella al motorino affrontarono quel caotico capodanno cittadino, consapevoli che non si sarebbero divertiti, consapevoli che il loro capodanno era già terminato.

Bernardo capì subito che da quel giorno la sua vita sarebbe cambiata.

mercoledì 10 aprile 2013

Capitolo 4 – Numeri telefonici senza prefisso


- Pronto buongiorno, posso parlare con Andrea sono Bernardo?
- Sì Bernardo, ora te lo passo.
- Pronto?
- Ciao Andrea che fai? 
- Sto giocando a Circus su Atari, tu che fai?
- Sono dai nonni ti va di uscire?
- mmm... non lo so, intanto vieni qui da me ci facciamo una paio di partite e poi decidiamo.

Questa era la telefonata giornaliera del Benardo bambino, la telefonata fatta sul grigione a un numero di sei cifre privo di prefisso, un numero di sei cifre nella metropoli dove abitava era raro anche ai tempi della sua infanzia, al giorno d'oggi è quasi impossibile travarne. E dopo questa telefonata iniziava, col cuore in gola, a immaginarsi il fantastico pomeriggio passato dal suo amico in compagnia di videogiochi e cartoni animati, tra tutte quei cartridge arrivati dall'America che lui non avrebbe mai potuto permettersi, sdraiati su quella moquette blu che rendeva la stanza calda e accogliente, gli ricordava la casa dei film per ragazzi anni '80, piena di poster, dischi, fumetti e videogames.

Nel tragitto per arrivare dall'amico doveva passare davanti alla bisca della zona, non capì mai perchè solo lui e Andrea erano ben accetti all'interno, a tutti gli altri bambini era vietato l'accesso, ma per loro due esisteva un'eccezione, potevano tranquillamente giocare ai videogiochi dell'epoca, a Pengo, a Ghosts'n'Goblins, a Donkey Kong, a Gyrus, e potevano addirittura spingersi nell'interno fumoso del locale dove i "grandi" giocavano a biliardo, a ping pong, con le slot machine illegali, a carte e bevevano ai tavoli. I videogiochi erano la sua passione, era molto bravo li conosceva tutti, "da grande farò il programmatore" diceva, aveva sempre le idee ben chiare su tutto. 
Un giorno fece uno sogno orribile, era la pallina di un flipper della bisca, veniva sparato a velocità siderali tra un flipper, un respingente, un bonus, vedeva tutto orrotondato, era nausente, pauroso, i rumori li sentiva amplificati, era come avere due valvolari Marshall legati alle orecchie, assordante, stette male quella notte, molto male, si svegliò nel sudore con la testa che girava, quella mattina non andò a scuola.

La bisca venne poi chiusa per contrabbando di sigarette, ora al suo poste c'è un triste solarium, sul muretto dove un tempo si sedevano a fumare e parlar di calcio i "grandi", oggi ci sono i "piccoli" sedicenni che parlano di moda e reality show, prima c'erano i "grandi" ora ci sono i "piccoli", e lui a quale categoria apparteneva? Era mai appartenuto a un macroinsieme sociale? Non seppe darsi risposta.

Bernardo continuava la sua battaglia contro il suo passato, il suo cuore voleva portarlo nella via dove abitava il suo amico Andrea, voleva vedere la strada dove giocava, il palazzo, il cortile, ma la sua mente opponeva resistenza, doveva saper resistere, quella giornata doveva riportarlo al presente, era dura, molto dura, ma doveva assolutamente riuscirci. Bernardo tirò dritto, continuò ad andare in salita, non svoltò nella via dove anni fa abitava Andrea.

I negozi della via cambiavano ogni mese, gli affari per gli esercizi commerciali non andavano bene, e dove anni fa c'era un bellissimo negozio di articoli sportivi, ora figurava un negozio di toner economici per stampanti, la città si era riempita di quel genere di esercizi, era scoppiata la mania di scattare e stampare foto digitali, Bernardo non sopportava questa smania di fotografare, una volta la fotografia era una passione, la gente amava i colori, le inquadrature, aveva dei soggetti da ammirare, paesaggi volti, opere d'arte, ora era tutto il contrario, la gente si comprava macchinette fotografiche digitali con milioni di opzioni, parlava di obiettivi, esposizione, intensità della luce, ma non sapeva cosa fotografare, la passione si limitava ad un feticismo tecnologico verso macchinette, obiettivi, flash e cavalletti, la gente era così ora, voleva comprare l'oggetto più tecnologico, ma non aveva più ispirazione artistica, a Bernardo la gente piaceva sempre meno, la considerava stupida, un gregge che seguiva le mode e le tendenze, che non pensava con la propria testa, che non si poneva domande.

L'ultima cosa che gli passava per la testa in quella giornata era incontrare Alessandra, e invece la vide da lontano, veniva nella sua direzione ma sul marciapiede opposto, non si era accorta di lui, camminava con la sua solita sicurezza lasciando nell'aria una femminilità rara, a Bernardo sembrò di sentire il suo profumo, Tresor, gli sembrò di ascoltare la sua voce. 
Una folata di vento, un vento fresco e piacevole, un vento che sollevò Bernardo verso l'alto, e poi tutto cambiò.
Si ritrovò in un cielo blu intenso, artificiale, il cielo di un presepe con stelle come le disegnerebbe un bambino di 6 anni, mentre la via in basso si rimpiccioliva e tutto si faceva artificiale, tutto si fermò, tutto divenne un plastico in scala racchiuso in un cubo trasparente sospeso nel vuoto, sospeso in quel cielo da presepe, i rumori erano spariti, ma da una piccola finestra del plastico qualcuno stava ascoltando Karma Police, Bernardo se ne accorse, la ascoltò per qualche secondo, poi la curiosità di quell'assurda situazione prese il sopravvento, fluttuando nel cielo disegnato dal bambino, si avvicinò al cubo trasparente che conteneva il plastico di una sezione della sua via, dove tutto era stato riprodotto con fedele perizia, palazzi, strada, auto, persone.
Era incredibile, anche gli interni delle case erano riprodotti fedelmente, e Karma Police usciva proprio dalla sua stanza... col suo letto, la sua coperta arancione, il suo stereo acceso che riproduceva l'angelica voce di Thom Yorke. Iniziò a toccare gli oggetti, i semafori, i cassonetti, le persone, tutto era saldamente incollato al plastico, non si poteva muovere nulla, le persone sembravano i pupazzetti del Subbuteo privati della base semicircolare, anche le auto erano incollate, anche Carlo il commesso del ferramenta era incollato, anche Kyra il cane di Eleonora era incollato, anche gli oggetti esposti dell'emporio cinese erano incollati, anche Aless... no... Alessandra non era incollata, Alessandra era l'unico oggetto del plastico che poteva esser spostato, poteva metterlo dove voleva, sulla cima del palazzo rosa, sopra una macchina, in un negozio, e poteva metterlo sul suo marciapiede a pochi centimetri da lui... ci pensò, avrebbe potuto guardarla negli occhi, parlarle, non avrebbe mai avuto il coraggio di attraversare la strada e raggiungerla sull'altro marciapiede, ma se l'avesse incrociata casualmente sarebbe stato inevitabile salutarla e scambiare quattro chiacchiere, ma anche Alessandra faceva parte del suo passato. Prese Alessandra, la rimise al suo posto.
Bernardò era in strada e andava in salita, il cielo del presepe non c'era più, il plastico era tornato alla grandezza naturale, tutto era di nuovo nella norma, sempre che la norma fosse realmente quella.

lunedì 8 aprile 2013

Capitolo 3 – Serpente bianco e serpente rosso


- “Vedi? sono due serpenti”.
- “Come due serpenti? Nonno io non vedo nessun serpente”.
- “Come non li vedi? Stai più attento, sono grossi non puoi non vederli!”.

Bernardo si divertiva molto con le battute e gli scherzi del nonno, ma questa volta non lo capiva proprio... 

- “Due serpenti? Ma cosa vorrà dire?” Pensò Bernardo.
- “Le macchine che vanno in salita sono il serpente rosso, quelle in discesa il serpente bianco. Non vedi le loro luci che fila snodata che formano? Un po' d'immaginazione ragazzo, l'immaginazione è importante, è l'anima dell'arte, mi vuoi far credere che in te non c'è arte?”.
- Non so che dirti nonno, non ci avevo mai pensato a questi rettili fatti di anabbaglianti e luci posteriori, però è vero... sembrano dei serpenti specialmente se sfoco un poco l'immagine, e a te nonno chi te lo ha fatto notare?”.
- “Nessuno, l'ho inventato io”.
- “Ah! Ok...”.

Conosceva bene suo nonno, sapeva quante balle si inventava, ma sapeva inventarle con stile, con genialità e Bernardo sapeva apprezzarle più della realtà.
Rimase per un po' a guardare i due rettili che strisciavano rumorosi, tra imprecazioni degli automobilisti, tra le chiacchiere dei pedoni sul marciapiede, tutto immerso in quella luce del crepuscolo, quella luce arancione e grigia che Bernardo cercò vanamente di ritrovare negli anni, quella luce che i suoi sensi legavano a degli odori e sapori che avrebbero coniato il suo carattere sensibile e malinconico.

Continuò ad andare in salita, era solo all'inizio del suo viaggio. Negozi di ganasce per auto non ne esistono più, e invece li in passato ce ne era uno che lo aveva sempre affascinato, ci passava quarti d'ora a vedere i meccanici che con pesanti mazze gommate disassemblavano ganasce, gli sembrava un lavoro bellissimo, gli piaceva la facilita con la quale gli opeari riuscivano nell'opera, gli piaceva il rumore prodotto dalla molla che saltava, era bello, gratificante, era un rumore vero.

Una cosa era sempre uguale nella via, la sporcizia delle rampe che conducono ai garage e ai magazzini dei negozi, con le loro balaustre laterali dalle quali si scorgono le finestre dei seminterrati, sempre pieni di polvere, ragnatele e sporcizia varia. Da bambino era molto attratto da quelle rampe, ma una strana fobia gli aveva permesso di andare in esplorazione pochissime volte, sia perchè veniva visto sempre male dai magazzinieri e commercianti, sia per paure infantili. Ma quei posti avevano un fascino particolare, riuscivano a portarlo fuori dal rumore caotico della città e del traffico, anche la gente che li frequentava era diversa, a lui piaceva pensare che era gente nata e cresciuta li, una sottocultura cresciuta tra polvere, ragnatele e odori di macchinari industriali, una sottocultura che guardava con sospetto e forse invidia le persone che frequentavano la via, che lavoravano nella via. In quella sottocultura non esistevano giovani ne tantomeno bambini, ma lui si era sentito sempre a proprio agio con le persone "grandi", si sentiva alla loro altezza ed era attratto dalla loro cultura ed esperienza, anche se il popolo delle rampe  era ignorante, burbero e  privo di interessi.

Anche l'azione inversa piaceva al Bernardo bambino, ovvero dal sotto bottega del nonno, guardare in alto verso le grate dei marciapiedi, gli piacevano quei crepacci urbani, tristi grigi e sporchi, lo affascinavano si sentiva un avventuriero in un sotterraneo, sognava di poterci andare, di far man bassa di tutti gli oggetti che la gente durante gli anni aveva smarrito, di arricchirsi di monetine, braccialetti e collanine. Sogno che Bernardo non esaudì mai, nessuno mai aveva avuto la possibilità di introdursi nei crepacci urbani.

Stava succedendo quello che Bernardo non voleva accadesse, la sua giornata lo stava portando verso il suo passato, il suo passato che, sotto ogni punto di vista, riteneva fosse migliore del suo presente, troppi flasback aveva già avuto da quando aveva lasciato il bar d'angolo, doveva liberarsi del suo passato, delle sensazioni che sapeva procuragli, e forse capì a cosa sarebbe servita quella giornata; a fargli gradire il presente facendo tesoro di tutta la bellezza che ricordava del proprio passato, una missione difficilissima, ma doveva compierla con successo, la sua gioia di vivere e la sua forte personalità erano in pericolo, e aveva l'obbligo di salvarle.

- Ciao Bernardo come stai?
- Bene Alfonso, è tanto che non ti vedo in giro, abiti sempre in zona?
- Purtroppo no, però mi piace venire ogni tanto a fare due passi, poi vengo spesso a trovare i miei.
- E le auto radiocomandate? Hai ancora la passione?
- Come no! Ora faccio tornei a livello europeo, ho anche una scuderia!
- Una scuderia? Esistono scuderie per le auto radiocomandate? non ci credo!!!
- Certo che esistono, e attorno ad esse gira una discreta quantità di soldi, la mia è modesta ma ci stiamo facendo conoscere, tu sempre lo stesso lavoro?
- Si si... sempre lo stesso, ho mantenuto come te la mia passione.
- Bernardo io faccio due passi e forse dopo mi vedo al prato con Gigi, che fai ci raggiungi?
- Faccio un paio di giri, e se faccio in tempo volentieri. A dopo.

Era contento Bernardo di quell'incontro, ma non sapeva se avrebbe raggiunto i due vecchi amici al prato, doveva dedicarsi alla sua giornata, doveva compiere la sua difficile missione.

E poi il prato... il prato se voleva star fuori dal suo passato, era l'ultimo luogo da frequentare, il prato non si affronta così su due piedi, il prato va combattuto adottando una tattica sopraffina, altrimenti non si ha speranza di vittoria.

634641? non aveva più notato quella targa da anni, era un numero telefonico senza prefisso! 
- “Ma da quanti anni è obbligatorio appore il prefisso alle chiamate urbane?” pensò Bernardo senza riuscire a darsi una risposta.

Ma perchè tutto gli remava contro?!?!? Perchè tutti gli oggetti i suoni e le persone della via lo tenevano saldamente ancorato al passato? Perchè lui non aveva il diritto di godersi il presente come tutti? Perchè quel maledetto numero senza prefisso lo aveva riportato a un pomeriggio invernale, in piedi sullo sgabello, a comporre su un vecchio “grigione”, li numero del suo amico Andrea? Perchè?

domenica 7 aprile 2013

Capitolo 2 – In strada


“Ed ora? Mah… “, “Ora dove vado? Magari faccio due passi su in piazza, guardo le vetrine, mi fermo al negozio di chitarre…”. Non era semplice decidere così su due piedi una giornata, non aveva nulla da fare, eppure quella giornata avrebbe dovuto essere speciale, avrebbe dato delle svolte, avrebbe fatto capir lui cosa da qualche anno non lo faceva esser felice.

“Chiamo Marco, sento se viene con me, tanto lui si sveglia sempre presto, o almeno così dice… poi si alza dal letto sempre dopo di me… No meglio di no… è troppo lento nel prepararsi e io sono già in strada, oggi non voglio perdere neanche un minuto, devo consumarla fino all’anima questa giornata, questa giornata….”. Non sapeva bene cosa fosse “questa giornata”, ma gli stava a cuore, era importante, lo capiva, lo capiva perché non voleva condividere queste ore con nessun altro, voleva esser solo con i suoi minuti e le sue ore…

“Ho deciso vado verso su, vado in salita…” Le facce passavano, alcune note altre nuove, i negozianti, sempre delusi dall’andamento commerciale della via, a parlottare col commerciante vicino, a parlar male dei negozi limitrofi, a guardar le belle donne che con la primavera iniziavano ad indossar vestiti leggeri, scarpe aperte, erano più belle, erano più allegre, erano più contente di risultar più piacenti, di avere gli occhi degli uomini addosso…

“Faccio colazione, mi va un cappuccino serio, vado al Bar d’Angolo, nella speranza che Vittorio, nella notte abbia preso ripetizioni di “cappuccino” .

- “Ciao Bernardo, fatto festa?”  Quella domanda gli diede fastidio, non voleva assolutamente che nessuno sapesse nulla della sua giornata.

-“Ciao Vittorio, mi sono alzato un po’ più tardi… la Primavera” la risposta gli parve un buon compromesso,       soddisfaceva sia lui sia quella “suocera” del barista.
-“Mi fai un cappuccino e mi dai un cornetto con la marmellata?” ordinò.
-“Marmellata di fragole va bene?”
La marmellata di fragole gli procurava quella stranissima sensazione, lui la chiamava “solletico al cervello”.
-“Fragole? No mi procura il “solletic…”, ehm… no Vittorio grazie non mi piace. C’è di albicocche?”
-“Albicocca, albicocca…” diceva Vittorio mentre con la pinza per brioches, faceva un rapido inventario della sua vetrina dei lieviti “No… niente albicocca”
-“Va bene un cornetto semplice Vittorio…” disse sconsolato.
Mi porse il cornetto e si girò verso la macchina del caffè, con la coda dell’occhio guardò il culo della tabaccaia che proprio in quell’istante, dopo aver bevuto il suo caffè si apprestava ad uscire dal bar, quella scena lo fece sorridere, pensava a due persone che si conoscono da anni, che parlano spesso tra loro, che si può dire siano amici e che hanno due esercizi commerciali a due passi l’uno dall’altro, e pensava agli occhi famelici di Vittorio sul sedere della sua amica… chissà se lei se ne accorgeva, se le faceva piacere, se tra loro dopo le chiusure serali fosse mai successo qualcosa.

Il cappuccino come al solito era mediocre, Vittorio durante la notte non aveva fatto nessun corso di aggiornamento, questo era sicuro. Lo finì, pagò con dei soldi spiccioli per la gioia del barista, sempre molto restio a concedere dei resti in moneta.

Uscendo dal bar, Bernardo teneva la testa china, guardava il pavimento in marmo a piastrelloni grigi, gli ricordava quando da bambino si recava al bar a giocare ai videogames, ricordava la smania che aveva di giocare, l’impazienza quando il gioco era occupato da altri, il fastidio che gli procuravano i criticoni dei videogames, quelli che dicevano – “Prendi quel bonus, scendi dalla piattaforma, abbatti quella navetta…”, e pensando li rivedeva come erano ora, sempre uguali, sempre criticoni su temi più attuali, calcio, politica, economia… “La gente non cambia” pensò, “è sempre uguale, sempre con lo stesso sguardo di quando era bambina, le stesse manie, solo le passioni e i gusti cambiano, ma i modi di fare, le movenze, quelle ci faranno sempre compagnia”.

Il marciapiede era pulito, la gente era allegra, la giornata infondeva felicità e speranza. Guardò una biondina che si era appena fermata con la sua utilitaria al semaforo, anche lei guardò Bernardo, ma con la classica occhiata che lanciano le donne quando non gradiscono essere osservate, uno sguardo inespressivo quasi cattivo, ruvido…

Iniziava la passeggiata, aveva deciso di andare in salita…

L’edicola... aveva cambiato da poco gestione, l’antipatico con faccia da scorfano e la moglie finto bionda con gli occhiali a fondo di bottiglia non c’erano più… anche l’edicola si era spostata, era dalla parte opposta del marciapiede. Un occhiata alla vetrina esterna, gli occhi cercavano riviste che forse non esistevano, riviste che grazie al loro colore, alla loro fotografia, al loro formato sarebbero forse servite a ricordargli qualcosa, ma non trovò nulla, niente era veramente interessante, riviste di computer, di vela, di fitness… nulla risvegliava la sua curiosità, nulla in quella vetrina sarebbe stato una pedina importante per quella giornata.

Aveva fatto un sogno da bimbo, era un sogno meraviglioso per un bambino; aveva sognato l’edicolante che gli regalava pacchetti e pacchetti di figurine dei calciatori, un tesoro, era il bimbo con più figurine della scuola, avrebbe terminato il suo album per primo, avrebbe potuto scambiare figurine doppione con tutti… ma era un sogno e il risveglio fu deludente, non aveva mai terminato un album in vita sua.

Ci passò davanti… non ebbe neanche il coraggio di girare la testa verso sinistra… non ebbe il coraggio di guardare dentro, aveva paura che l’emozione, la nostalgia, i ricordi avrebbero potuto ferirlo, ferirlo molto gravemente.

Fece altri dieci passi in salita, poi si fermò, guardò le macchine  e immaginò una sera autunnale di tanti anni fa, pensò al "serpente bianco e al serpente rosso".

sabato 6 aprile 2013

Capitolo 1 – Buongiorno


La sottile lama di luce che entrava dalla serranda difettosa della camera di Bernardo andava ad infrangersi sulla vecchia coperta color arancio, che ogni sera prima di coricarsi, appoggiava disordinatamente sul letto.
Un piccolo fuoco. Fatto di pura luce e di una mistura di lana e acrilico.
Granelli di polvere, e di chissà quale altra porcheria, danzavano all’interno del fascio disegnando geometrie monotone e ordinate.
Il resto della stanza era immerso nella semioscurità e l’odore di chiuso contribuiva a darle un aspetto da cella monasteriale, il rumore del traffico, comunque, riportava l’ambiente ad una normale camera da letto di un normale appartamento di una normale periferia cittadina.
DRIN DRIN DRIN DRIN (non saprei scrivere meglio la suoneria di una sveglia elettronica, forse sarebbe meglio TI TI TI TI TI TI).
7:00. Aveva impostato volontariamente la sveglia a quell’infame orario, pur sapendo che quel giorno non sarebbe andato a lavorare. Quel suono pungente e regolare prima fece capolino nel suo sogno, poi riuscì, con chissà quale anatema, a svegliarlo.
Movimenti meccanici. Togliere il braccio da sotto la coperta arancione, sollevarlo, cercare a tastoni la sveglia, ora il lavoro del braccio e della mano era terminato, toccava alle dita, individuare il tastino per spegnere quell’inferno cacofonico, intercettato, pigiato. Di nuovo il silenzio, di nuovo il sonno.
DRIN DRIN DRIN DRIN.
7:06. E’ già, era una di quelle sveglie che ricominciano a suonare dopo pochi minuti, fino a che non si agisce sulla levetta posteriore.
Stessi identici movimenti meccanici. Di nuovo il silenzio, di nuovo il sonno.
DRIN DRIN DRIN DRIN.
7:12. Movimenti meccanici più complessi, in quanto le dita questa volta avrebbero dovuto trovare ed azionare la levetta posteriore. TIC. Suoneria disabilitata. La giornata iniziava veramente. Soffitto, mobilio, televisione, porta… ogni mattina stavano sempre li immobili a gustarsi la buffa scena del suo risveglio.
Occhi pesanti, alito pestilenziale, e le tre pinte della sera precedente che continuavano a spumeggiare allegramente nel suo cranio, quasi fossero ancora nel boccale.
Erano anni ormai che non si alzava dal letto senza fatica, rimaneva li immobile ad aspettare che una forza esterna attivasse il suo corpo.
In piedi. Le pantofole ovviamente durante la notte si erano divertite a nascondersi sotto il letto, e lui per niente al mondo si sarebbe inchinato a cercarle, con il rischio che tutta la birra contenuta nella sua testa fuoriuscisse da qualche orifizio facciale ed andasse a bagnare la sua coperta arancione.
Bagno. CLICK. Una mandata. Anche se era solo in casa, l’abitudine di barricarsi al bagno non l’aveva persa. Routine corporali. Routine igieniche. Le scarpe sotto il termosifone erano diventate troppe, forse erano loro che la notte spaventavano le pantofole e le facevano rifugiare sotto il letto, avrebbe dovuto riporle nella scarpiera, ma non ne aveva la minima voglia.
Aperta la finestra. La serranda fece qualche capriccio, ma poi cedette e si andò ad arrotolare nella sua tana nell’intercapedine.
Bella giornata, neanche una nuvola, era contento, era anche triste perché le belle giornate primaverili erano cariche di ricordi che non riusciva a rimuovere.
La gente di sotto passeggiava e si recava ovunque, era quasi impossibile pensare che ogni negozio, cabina telefonica, scala o palazzo avesse un ruolo, che ci fossero persone interessate ad essi, era una cosa gratificante e a volte aveva provato una profonda invidia per quei siti così ambiti.
Il “Bar d’angolo”. Lui si che piaceva. Era il “sex-symbol” del quartiere, tutti andavano al bar, parlavano al bar, compravano al bar, ridevano al bar. La sua insegna era orribile; con la scritta “Bar d’angolo” arancione e bianca, con grosso contributo cromatico dato da polvere, smog e ragnatele.
Bernardo stava pensando a come vestirsi, era una di quelle belle giornate primaverili in cui non si sa mai cosa indossare, non voleva trovarsi nella situazione di avere caldo o in quella contraria.
I soliti jeans…, con la maglietta rossa e il giubbotto di pelle nera, ormai considerava questi indumenti come parte integrante del suo fisico, e riteneva che rispecchiassero fedelmente la sua personalità.
Camera da letto, corridoio e finalmente la porta di casa, rovinata e graffiata, evidentemente i precedenti inquilini erano un esercito di orchi delle lande desolate.
Appena aperta la porta l’odore delle scale del palazzo… era un odore di pulito e polvere degli zerbini che si depositava sulla gola e ne faceva propria dimora. L’ascensore neanche a dirlo era occupato, ma per fare tre piani e per lo più in discesa non era indispensabile.

E finalmente fuori dalla sua tana. Lo stradone in cui abitava era pieno di macchine ferme causa il solito ingorgo, la gente, frenetica, andava in ogni direzione impegnata nella propria sopravvivenza. Lui no. Quel giorno lui non faceva parte di quella routine, era un alieno, nulla di quello strano posto gli apparteneva e avrebbe potuto interferire con la sua giornata.

Davanti al portone della sua casa Bernardo era fermo a guardare le macchine in fila, la gente che andava ovunque, i negozi che mangiavano e risputavano persone, i palazzi immobili che pazienti osservavano tutte le creature a loro microscopiche, che formicolavano ai loro piedi…